Pubblichiamo il testo dell’ultimo intervento di Paola, in occasione della presentazione di Vivere la tempesta alla eXSnia il 16 luglio 2021.
Ci manca tantissimo, con la sua forza, la sua capacità critica e la sua intelligenza di rivoluzionaria. Ciao Paola.
Saluti. Vivere la tempesta. È il libro con cui apriamo questa iniziativa, un libro in parte diverso dai precedenti. Dico in parte, perché comunque è sempre ambientato nel contesto politico, sociale dell’antagonismo di classe, dei movimenti, sono presenti i temi consueti della memoria, delle radici del presente, del ricordo dei compagni e delle compagne che abbiamo perso in questi decenni di lotta. Però stavolta al centro è il tema della malattia, in uno stretto collegamento fra l’aspetto sociale e la lotta della protagonista. Giulia. Si chiama Giulia, ma a volte scalpita per assomigliarmi. Come me, nel febbraio 2014 scopre di avere un cancro molto aggressivo. Non ha un attimo di incertezza, non ci pensa proprio a chiudersi in una battaglia individuale, aprendosi subito a nuove emozioni, alla possibilità di cercare di aiutare altri malati. In questa sua seconda vita si ritrova anche ad avere una maggiore attenzione sui temi dell’inquinamento, della devastazione di territori, sul ricatto fra salute e lavoro. Una parte del libro è ambientata a Taranto, ma si parla anche della Brescia della Caffaro o di Casale Monferrato, insomma di alcuni fra i tanti luoghi dove non si fermano le devastazioni ambientali e le stragi umane più o meno silenziose, che in fondo, anche se spesso ci parlano di tempi cambiati, non sono così diverse da quelle che nell’Inghilterra della rivoluzione industriale, quindi un po’ di tempo fa, Engels definiva: un vero e proprio assassinio sociale, in cui la morte degli operai, dei lavoratori viene presentata come naturale, dovuta a malattia o a catastrofe e non a una diretta conseguenza di un sistema basato sulla ricerca del massimo profitto.
Nel periodo in cui scrivevo il libro sono sicuramente cambiate alcune cose. L’accentuarsi della crisi, la pandemia, hanno fatto aprire gli occhi a molti. Certo è un passo avanti, dal momento che per anni apparivamo come marziani quando cercavamo di opporci a quell’offensiva politica, culturale, a quell’offensiva generale che in tutti i modi ha cercato di liquidare ogni critica rivoluzionaria dell’esistente. Ora, invece, anche ambiti molto diversi fra loro, si rendono conto che il capitalismo sta portando devastazione oltre che sfruttamento. Chiaramente in una situazione eterogenea, comunque ogni segnale di opposizione è importante, ma acquistano spazio anche movimenti di vario tipo, chi la agita come questione sociale ma anche etica, che può essere progressivamente risolta nell’ambito di questo stesso modo di produzione, senza considerare che è chiaro che alcuni aggiustamenti sicuramente ci saranno nel breve periodo, ma che non possono risolvere la contraddizione strutturale fra la protezione dell’ambiente e un sistema mosso dalla ricerca del massimo profitto in tutti i campi, compreso l’ambiente. Perché la storia, l’esperienza ci hanno sempre dimostrato che l’unica strada realistica è quella all’apparenza più lunga e complessa. Se il killer è il capitalismo stesso, non ci sono scorciatoie possibili. E per non limitarsi a essere dei romantici donchisciotte, credo che dobbiamo riflettere forse più di quanto abbiamo fatto finora sulle lotte degli ultimi anni. Ce ne sono state, non sono state poche. Da quelle più conosciute contro le grandi opere a quelle territoriali che in alcuni casi hanno ottenuto risultati, come qui, per il lago. Ci sono state in varie parti d’Italia piccole resistenze, esperienze di autorganizzazione, solidarietà e mutualismo per tentare di arginare i disastri provocati dalla crisi. Però sono realtà che hanno avuto difficoltà a ricomporsi, a superare la disgregazione. Ad andare oltre lo specifico contesto. Mentre credo che proprio la riconquista di una dimensione generale del conflitto sia una base necessaria per un salto di qualità. E spero che anche il libro possa in qualche modo contribuire al dibattito.
Anche se certo, al centro del libro c’è anche, forse soprattutto, la mia lotta contro la malattia, che va avanti, al di là di ogni previsione medica, da circa 7 anni e mezzo. In questo tempo mi sono resa conto come il cancro renda più difficili anche i rapporti umani e sociali. Per molti la stessa parola rimane un tabù che sembra evocare morte e disgrazie solo a nominarla. Del resto, io stessa, finché mi sentivo parte del mondo dei sani, non mi ponevo certi problemi, non mi rendevo conto che un malato in diversi casi è persino costretto a nascondere il cancro quasi fosse una vergogna. A maggior ragione quando il tumore è al polmone, come il mio, e spesso ti accorgi che chi hai di fronte pensa che in fondo te lo sei cercato. A questo stigma, al silenzio mi sono ribellata e ho deciso fin dall’inizio di parlarne apertamente. Cercando anche di ribadire che la storia di una persona malata è anche una storia di vita. Noi malati continuiamo a essere quello che eravamo prima, per quanto ci consente la malattia e le terapie. Rimaniamo donne e uomini che hanno interessi, passioni, difetti chiaramente, come quando erano sani. E per queste nostre caratteristiche vogliamo essere considerati. Sembra ovvio, eppure non lo è. Il nostro corpo sta affrontando una grave malattia, ma non SIAMO, non vogliamo essere identificati con il cancro.
Giorni fa una compagna oggi presente mi ha regalato un bigliettino con una frase di Frida Kahlo che non ricordavo, ma rende perfettamente questa idea: “Devo lottare con tutte le mie forze affinché quel poco di positivo che la salute mi consente di fare sia nella direzione di contribuire alla rivoluzione. La sola vera ragione per vivere”. L’ho voluto leggere perché spesso mi si chiede come faccio, anche nei momenti più difficili, a trovare la forza per cercare ancora di dare un contributo alla militanza politica, alle lotte. Rispondo innanzi tutto che la forza presuppone una scelta e la scelta a me non è data, ma che sia poco o molto ciò che la malattia mi permette di fare, il senso della vita non è cambiato con il cancro, rimane quello che mi ha accompagnato nell’età adulta, non desidero né potrei immaginarmi in un contesto diverso rispetto a quelli che sono stati i miei luoghi, la mia comunità di lotta. E quindi anche il percorso di Vivere la tempesta, non poteva che iniziare qui. Grazie!