Decisamente l’aspirazione dei popoli alla pace è lungi dal realizzarsi. Il capitalismo “trionfante” nel 1991 decretava la “fine della Storia” e l’inizio di un mondo armonioso attorno alla propria eternità invincibile. Da quello stesso anno, invece, ha aumentato la propria aggressività dando il via ad una sistematica campagna di invasioni e occupazioni (elegantemente definite “guerre umanitarie”), in perfetta continuità con la sua storia coloniale, imperialista. Per giungere all’odierna guerra in Palestina, dove si è riacceso lo scontro fra l’indomita lotta di liberazione anticoloniale e il blocco occidentale (Nato) che ha creato e sostiene Israele, l’entità coloniale.
Prima, mesi e mesi di violenta pressione sui territori palestinesi da parte delle forze di occupazione, ma anche l’emergere di una nuova leva di resistenti capaci di tenervi testa. Poi, un’inedita e potente controffensiva della Resistenza palestinese, nell’insieme delle sue formazioni armate.
Inedita per la capacità di organizzazione e di neutralizzazione del fitto sistema di controllo militare tecnologico. Bisogna immaginare cosa significhi riuscirci in un contesto di costante pressione militare poliziesca. Potente, nello sfondamento dei reticolati del lager di Gaza e nell’irruzione in terra occupata. L’aver portato la guerra dentro lo Stato occupante è il risultato eclatante, che parla da sé.
La polemica sui caratteri della violenza è sempre fuorviante, e soprattutto è sistematicamente manipolata dagli oppressori. In casi come questi ci si trova di fronte ad una macchina da guerra mediatica, il cui unico scopo è denigrare, delegittimare, rendere un mostro la rivolta degli oppressi. Le più oscene montature, per una volta, gli sono scoppiate fra le mani. E, peraltro, non ci sono lezioni da ricevere da chi della violenza coloniale, genocida, ha pratica storica e attuale: Israele ammazza bambini, li fa a pezzi con i suoi bombardamenti o li brucia al fosforo bianco (come i padrini americani facevano in Indocina col napalm)
Certo, ci sono differenze radicali fra le componenti di questa (come di altre) Resistenza. Le componenti progressiste, rivoluzionarie si misurano da sempre con il carattere retrivo e egemonico delle forze islamiche, ma in certi momenti prevale la necessità di far fronte comune. E in questo momento pure la base del Fatah si schiera con la lotta, sollevandosi inoltre contro l’Autorità palestinese, corrotta e collaborazionista.
Di fronte, la ferocia di uno Stato che si considera al di sopra di ogni legge, supportato com’è da tutto il blocco imperialista Nato. Genocidio, è l’unico termine adeguato ai crimini che sta perpetrando. Uno, in particolare, di puro stampo nazista: l’aver tagliato cibo, acqua ed elettricità a tutta la popolazione di Gaza! Non ci sono parole per tanta ferocia e tracotanza suprematista, che arriva a definire i Palestinesi “animali dalle sembianze umane” (parole di ministri). Il disprezzo e la criminalizzazione dei popoli oppressi sono, da sempre, una chiave fondamentale del dominio colonialista.
Ora però l’entità sionista fa i conti con un crescente isolamento politico e con un sostanziale insuccesso militare. La Resistenza Palestinese gli tiene testa e trova appoggi nelle iniziative di diverse forze regionali, in particolare l’incredibile e coraggiosa operazione di blocco, per le navi dirette ad Israele, dello stretto di Ba bel Mandeb, porta del Mar Rosso e del canale di Suez, da parte delle forze yemenite. Risultato, un pesante colpo al funzionamento di una rotta principale di tutto il commercio mondiale. E poi l’iniziativa del Sudafrica per portare ad una condanna internazionale di Israele in quanto genocida. Iniziativa significativa proprio per il suo iniziatore, e che ha raccolto un enorme sostegno con più di cento “Paesi non allineati” che la sottoscrivono. Insomma la partita è aperta, il blocco occidentale si trova in serie difficoltà, le sue reazioni scomposte, repressive contro la solidarietà per la Palestina, e belliciste ovunque, lo dimostrano.
E con inquietudine si fanno i conti con la degenerazione bellicista del blocco occidentale, su un piano inclinato da terza guerra mondiale. Non dimentichiamo le aggressioni continue della Turchia (Nato) in Kurdistan, e persino la pulizia etnica attuata in pochi giorni contro la popolazione armena in Nagorno-Karabakh, ad opera dell’Azerbaigian (protettorato turco, armato da… Israele).
E la guerra in Ucraina. Nonostante lo smisurato investimento in armi e tecnologia di NATO, Usa e Unione Europea, la guerra appare in una fase di stallo. L’obiettivo strategico, proclamato già a partire dagli anni novanta è la disarticolazione della Federazione Russa (dottrina strategica di Zbigniew Brezinski, per lungo tempo principale consigliere delle presidenze democratiche). Altro che “nuovo ordine armonioso”, la continua espansione della NATO dimostra quanto il blocco imperialista occidentale continui imperterrito nella sua logica immanente di conquista e dominio. Fino a provocare appunto questa nuova guerra di accerchiamento della Federazione Russa.
Dopo l’11 settembre del 2001, Georges Bush proclamò “guerra senza confini e infinita al terrorismo”. Da allora è stata una sequela di aggressioni, invasioni, colpi di Stato, sviluppo senza precedenti di milizie mercenarie, paramilitari, jihadiste e neonaziste.
Il tutto gestito da una macchina di falsificazione e manipolazione da far impallidire Goebbels. A partire dal rovesciamento di significato di “terrorismo”, usato come stigma indiscutibile contro qualsiasi seria opposizione. In punto di morte il comandante in capo dell’invasione dell’Iraq, il generale Collins Powell, confessò che “la minaccia delle armi di distruzione di massa” da parte del regime iracheno era una colossale montatura. Mentre fu reale la distruzione di un Paese, della sua economia relativamente robusta e indipendente, del suo esercito, il massacro di centinaia di migliaia di civili, la propagazione di un caos violento in tutta la regione a partire dalla Siria. Analoga operazione sviluppata poi in Libia.
Si può pensare che tutto ciò sia causato da errori di “politica estera”, di scelte transitorie e migliorabili, che la tendenza alla pace e alla ragionevolezza di accordi e convenzioni internazionali prevalga infine. Ma la realtà, all’evidenza, va in tutt’altro senso. Il senso dettato dalle leggi immanenti del capitalismo nella sua epoca decadente, fra cui la necessità distruttiva per uscire in modo risolutivo da una crisi interna (dal marxismo definita come crisi da sovrapproduzione assoluta di capitale, a dimensione generale e storica) che dura ormai da decenni. Necessità distruttiva di capitale eccedente (dei concorrenti ovviamente e di popolazione eccedente per le proprie esigenze di profittabilità) e di nuova spartizione e dominio mondiale. In ciò si genera l’inarrestabile tendenza alla guerra che sta devastando il pianeta. Come dire, il vero problema da risolvere è l’esistenza del capitalismo. Qualsiasi lotta di liberazione deve sapersi situare in un fronte di guerra sociale internazionale/ista, in divenire, proprio per alimentare un processo rivoluzionario che possa contrapporsi alle loro alleanze di dominio, la NATO per quanto ci riguarda da vicino.
Anche per questo, ciò che sta succedendo attorno alla guerra in Palestina è importante: nel mondo, un sollevamento solidale, forte e diffuso, cerca di portare sostegno alla Resistenza. È il momento di mobilitarsi, di attivarsi, di fare fronte contro le guerre imperialiste, di sviluppare la solidarietà internazionalista.
Su questi temi rimandiamo ad alcuni materiali presenti in archivio. Pur datati, analizzano in profondità storia e realtà della NATO. La NATO è onnipresente, attraversa tutte queste fasi di accanimento bellicista ai quattro angoli del mondo. Parafrasando le loro pretese, è la vera “comunità internazionale”, cioè il comando militare unificato delle potenze storicamente dominanti (l’ONU contando quanto “foglia di fico”, vetrina legale per questo braccio armato del dominio). La “comunità” degli imperialisti.
Materiali consultabili:
La rivista GIANO – pace ambiente e problemi globali, n°34 del gennaio 2000, è dedicata alla NATO. Riportiamo qui il sommario:
Dossier NATO
Salvatore Minolfi, Dopo la “guerra fredda”. Geopolitica e strategia della NATO
Manlio Dinucci, Il peso della Superpotenza nel rapporto Usa-Europa-NATO
Vincenzo Strika, Di guerra in guerra.
Diana Johnstone, Crimini etnici e responsabilità della NATO in Kosovo.
Archivio, Togliatti, De Gasperi e le basi militari.
Sèguito dalla seconda parte del Dossier su Giano n°35 , del maggio 2000
Dossier 2 NATO
Isidoro Mortellaro, La guerra utile e la “nazione indispensabile”
Achille Ludovisi, Espansione della NATO e mercato degli armamenti in Europa orientale
Angelo Baracca, Il “National Missile Defense”: un riarmo nucleare drogato
Giulietto Chiesa, Il “vae victis” alla Russia e la politica dell’Europa
Enrica Collotti Pischel, Cina – Nato – Usa
Tavola rotonda, L’influenza della NATO nella politica italiana – Falco Accame, Luigi Ferrajoli, Luigi Cortesi
Archivio – Massimo D’Alema, Gli ex comunisti e la guerra
NO MUOS – le ragioni di una lotta. Opuscolo del Comitato locale, 2018
Sintesi storica del movimento di opposizione all’installazione di comunicazioni satellitari USA-NATO, denominato MUOS, a Niscemi, Sicilia. Con informazioni dettagliate sul progetto, i suoi realizzatori e beneficiari.
Dal sottotitolo: militarismo, imperialismo, guerra, propaganda, resistenza.
E convocazione campeggio estivo, agosto.
Il militarismo del nuovo millennio – di Pietro STARA, e CUB di Torino, 2000. Testo di analisi e controinformazione sugli sviluppi del militarismo in Italia, sul filo dell’interventismo nei Balcani e in Africa. Testi di legge, siti di produzione bellica e basi NATO. Le conseguenze sanitarie, da uranio impoverito in Medio Oriente e Balcani…
AZIMUT – rivista sindacale, n°27, gennaio 1987 Pur essendo rivista datata, gli articoli-saggi presenti analizzano una tappa fondamentale nell’escalation bellicista degli ultimi decenni. Il progetto “Strategic Defense Initiative”, noto come “Scudo Spaziale”, costituì una brutale accelerazione alla fine degli anni ottanta (l’era Reagan) che aggravò definitivamente la crisi finanziaria dell’URSS, precipitandone l’implosione. “Finale di partita” che non frenò l’imperialismo USA, occidentale, anzi …