23 agosto 1966 – 2 marzo 2003 (treno Roma-Arezzo)
Testa rossa non ti dimenticheremo. Accompagnata da una falce e martello, la scritta compare in una strada del Tiburtino, un quartiere popolare di Roma, dopo l’uccisione di Mario Galesi. Vicino alla casa di famiglia, qualcuno ha voluto ricordarlo con il soprannome dei tempi della prima ribellione. Inizialmente Mario si avvicina ai movimenti animalisti, frequenta i luoghi dei fermenti underground, ma presto la rabbia si trasforma in un chiaro impegno comunista. Mario non sopporta lo studio imposto. Per questo si ritira dal Liceo classico Torquato Tasso, dove si era iscritto per compiacere il padre, passando all’istituto d’arte, senza però arrivare al diploma. Ai compagni di classe del ginnasio lascia un buon ricordo. Ne parla il conduttore televisivo Giovanni Floris rilasciando un’intervista al settimanale «Panorama». Lo descrive come il tipo dell’ultimo banco: piacevole, sensibile, intelligente…
«La politica per lui era una missione, era il rappresentante di un’opposizione forte al sistema. Ma quando la professoressa di italiano gli faceva la ramanzina, dicendogli che tanti avevano preso una brutta strada, lui si prendeva la cazziata sorridendo». Il suo riferimento politico diviene presto l’area dell’Autonomia Operaia romana. Frequenta le sedi “storiche” di via dei Volsci, nella roccaforte rossa di San Lorenzo, ma soprattutto il Blitz, uno dei primi centri sociali della città, occupato nel marzo 1986 nel quartiere Colli Aniene. Il primo maggio dello stesso anno, pochi giorni dopo l’esplosione della centrale nucleare di Černobyl’, quando la nube tossica dall’Ucraina è già arrivata in Italia senza che ancora se ne abbia notizia, a Roma, nel parco davanti al Forte Prenestino, nel quartiere Centocelle, si svolge la quarta edizione della Festa del Non Lavoro. Alcuni compagni della zona hanno deciso di rompere durante l’iniziativa la catena che da tempo tiene chiusa la grandissima struttura abbandonata. Ma hanno dimenticato le tronchesi. Arriva Mario a portarle, dando così il via all’occupazione del centro sociale. Nel mese di luglio viene fermato con altri quattro. È intento a tagliare le recinzioni dello stadio Flaminio. Autoriduzione dei biglietti dei concerti, pratica diffusa allora nel movimento. È condannato per danneggiamento. La seconda metà degli anni Ottanta è un periodo difficile, di riflusso, che i militanti del Blitz cercano di contrastare. Fanno iniziative pubbliche e praticano azioni di illegalità di massa. Protestano contro il nucleare, la guerra, le carceri speciali. Effettuano irruzioni nei concerti per non pagare il biglietto e spedizioni contro lo spaccio di droga. Il controllo a cui vengono sottoposti è serrato, ma non si lasciano intimorire. Abbattere lo Stato, abolire lo sfruttamento. Realizzare una società comunista. La vita di Mario è ormai interamente dedicata a questo obiettivo, cercando di destinare al sostentamento quotidiano il minor tempo possibile. Per sopravvivere fa piccoli lavori in un supermercato. Anche la situazione generale, a livello nazionale e internazionale, non è semplice. La caduta del Muro di Berlino, nel 1989, non solo lascia in tutto il mondo mano libera allo strapotere politico e militare degli Stati Uniti, ma favorisce anche un pesante attacco politico-culturale della borghesia contro l’idea stessa del comunismo e la possibilità di costruire una società basata sui principi della giustizia sociale.
Agli albori degli anni Novanta Mario lascia l’attività politica pubblica ed è tra i fondatori dei Nuclei Comunisti Combattenti (NCC), che intendono assumere il patrimonio politico strategico delle Brigate Rosse per la costruzione del Partito Comunista Combattente. Sono anni in cui la ristrutturazione, la riorganizzazione del capitalismo rendono l’attacco alla classe sempre più aggressivo. Smantellamento delle conquiste dei decenni precedenti, precarizzazione, flessibilità del lavoro. Le organizzazioni storiche del proletariato sono ormai interne ai giochi borghesi. Il 31 luglio 1992 un accordo sul costo del lavoro abolisce definitivamente la scala mobile e pone le basi per la riforma della contrattazione collettiva. La protesta operaia è decisa, anche nei confronti dei vertici sindacali. I Nuclei decidono di attaccare su due fronti. Il primo è il cuore dello Stato. Individuato nel patto neocorporativo fra le parti sociali. Nell’ottobre prendono di mira la sede della Confindustria. L’azione fallisce, ma l’impatto è forte. Anche perché in Italia lo “scandalo” di Tangentopoli travolge i vertici della Prima Repubblica, facendo affondare i due principali partiti al potere, la Democrazia Cristiana e il Partito Socialista Italiano, per instaurare una nuova rappresentanza borghese in linea con gli assetti del capitalismo internazionale e dell’Unione Europea. In grado di gestire la governabilità dell’offensiva contro i lavoratori, in una situazione dominata dall’accentuarsi della tendenza alla guerra. Come dimostrato l’anno prima dal conflitto nel Golfo Persico. L’intervento contro l’Iraq, guidato dagli Stati Uniti, provoca proteste e reazioni, ma il movimento è poco incisivo perché egemonizzato dalle componenti pacifiste più arretrate. Nel gennaio 1994 i Nuclei attaccano a Roma il Nato Defence College, struttura di formazione di quadri politici e militari. È un’azione legata al secondo asse di intervento, le politiche centrali dell’imperialismo. Obiettivo dei Nuclei, come era stato per le BR-PCC anni prima, è lavorare per la creazione del Fronte Combattente Antimperialista. Nel gennaio 1997 Mario è di nuovo arrestato, per un esproprio di autofinanziamento in un ufficio postale a Roma. Bottino, centoventi milioni di lire in contanti. Finanziare l’attività rivoluzionaria con i mezzi del nemico ha un valore simbolico. Riappropriazione di quanto usurpato dalla borghesia. Un’azione da pubblicizzare. Ma gli inquirenti non se ne rendono conto e i militanti in questo caso scelgono il silenzio, per poter tornare al proprio posto nella lotta. Messo agli arresti domiciliari, Mario si rende irreperibile, anche se il residuo pena che deve scontare è di pochi mesi. Passa alla clandestinità. Diviene a tempo pieno Piero, militante regolare dell’organizzazione. Va ad affiancare nella struttura decisionale Nadia Lioce, clandestina dal 1995. Per lo spessore politico e le capacità organizzative acquisisce sul campo il ruolo di dirigente.
Nel 1998 i Nuclei si pongono la necessità di operare un salto di qualità nella militanza dei singoli, ma anche nella progettualità e nella pratica d’organizzazione, rilanciando l’iniziativa politica di disarticolazione sul piano classe/Stato, per arrivare a colpire il cuore dello Stato. Il periodo è caldo. Nei primi mesi del 1999 il governo di centrosinistra guidato da Massimo D’Alema bombarda la Jugoslavia, mentre sul piano interno prosegue l’attacco ai diritti ottenuti dai lavoratori nei decenni precedenti. Spezzare la rigidità operaia, aumentare la flessibilità e la precarietà del lavoro. Una politica che tenta di governare le contraddizioni sociali con la partecipazione attiva dei sindacati storici della classe operaia. Cresce il malcontento popolare, il fermento sociale. I Nuclei decidono di colpire il progetto neocorporativo del Patto per l’occupazione e lo sviluppo. La mattina del 20 maggio viene ucciso a Roma Massimo D’Antona. I compagni decidono di rivendicare l’azione con la sigla storica, BR-PCC, consapevoli delle polemiche collegate a questa scelta. Il 14 marzo 2002 il governo presenta un disegno di legge delega per la riforma del mercato del lavoro, che comprende la modifica dell’art. 18 dello Statuto dei lavoratori, importante tutela in caso di licenziamento ingiustificato, strappata ai padroni con dure lotte. Anche la CGIL è mobilitata, e indice per il 23 marzo una manifestazione in difesa dei diritti sotto attacco. Pochi giorni prima, la sera del 19 marzo, le BR-PCC colpiscono a morte Marco Biagi. Giuslavorista, ha collaborato con i governi degli anni Novanta in tema di lavoro e relazioni industriali, svolgendo un ruolo di primo piano nell’aumento della flessibilità e precarietà del lavoro, nella drastica riduzione di diritti e garanzie. Dopo questa azione, si acuiscono i contrasti fra i due compagni della sede centrale. Mentre discutono per ricomporre le divergenze interne, proseguono con azioni minori ed espropri di finanziamento. Per superare il punto morto, si decide di allargare le riunioni della sede centrale ad altri due compagni. In tutto, due uomini e due donne. Domenica 2 marzo 2003 Nadia e Mario sono su un treno diretto ad Arezzo, per la riunione del nuovo organismo dirigente. Durante un controllo della Polizia ferroviaria scoppia una sparatoria. Mario viene sottoposto a un intervento chirurgico nell’ospedale San Donato di Arezzo. Non ce la fa. Nadia, catturata, si dichiara prigioniera politica, militante BR-PCC. Dall’altra parte, il bilancio è di un morto e un ferito.
Nadia Lioce afferma chiaramente che non si è trattato di un’azione premeditata. La propaganda controrivoluzionaria ha dipinto i militanti come belve sanguinarie. […] Vogliono far credere che il conflitto a fuoco sia stato espressione di una linea di attacco delle BR o peggio, un costume dei brigatisti di sparare qua e là al primo che capita. Finché le è possibile legge documenti nelle udienze dei processi in cui è imputata, poi l’applicazione nei suoi confronti dell’art. 41 bis le impedisce di essere presente di persona. Scrive: Mai finora era stato fatto un uso così spregiudicato della salma di un brigatista, trattata come ostaggio, impiegato in funzione deterrente verso l’avanguardia rivoluzionaria. E ancora: Ho cercato di fare del mio meglio per onorare la figura di Mario e con essa di tutti i militanti delle BR e di tutti i proletari rivoluzionari, nell’unico modo in cui potesse essere fatto ed era mio dovere politico e volontà farlo: indicando il valore storico del percorso di emancipazione di se stessi e del proletariato che si intraprende nella militanza comunista combattente, perché la nostra vita è questo. All’ospedale di Arezzo familiari di Mario e compagni non si presentano. Pesa la debolezza del movimento rivoluzionario, pesa il clima di rappresaglia. La solidarietà scivola lieve, per non lasciare tracce. La grigia cappa di Stato crea terra bruciata. In pochi vanno a salutare Mario. Chi è già identificato, per lo più. Il 13 marzo alla redazione del «Messaggero» arriva una lettera, firmata da “Marina”: Non è vero che ti abbiamo lasciato solo anche se non siamo venuti a prenderti. Non è vero che eri solo, in tanti ti vogliamo bene… quante lacrime abbiamo versato. Non eri solo nemmeno nella tua scelta che in tanti abbiamo ritenuto coraggiosa e coerente. Hai dato la vita per sconfiggere l’ingiustizia di questo mondo. Grazie dolce Mario, onore a te. L’avvocato Attilio Baccioli dichiara: La dinamica della sparatoria non è affatto convincente. Il sovrintendente potrebbe essere stato raggiunto dal fuoco di un collega, Bruno Fortunato, che muore suicida anni dopo. Nessuno va a fondo, rimane solo la versione ufficiale. Dopo questi eventi, i militanti rimasti sono fortemente turbati. L’organizzazione ha subito un duro colpo. L’apporto del compagno caduto in combattimento segna indelebilmente questa fase, e la perdita del suo contributo costituisce un danno irrimediabile prodottosi nello scontro. Si cerca di adeguare l’attività alla nuova situazione. Dura qualche mese. A ottobre gli arresti bloccano tutto. Mario è uno dei caduti nella lotta per una società comunista, per una società senza classi. Eppure è uno dei compagni più “rimossi” dalla memoria di molti. Combattente fuori tempo massimo. Non lo dimenticano, tra gli altri, i prigionieri che fanno riferimento alle BR-PCC. Non lo dimentica chi rivendica a nome delle Cellule di Resistenza Proletaria – Nucleo Mario Galesi piccole azioni di propaganda, incendiarie o con l’esplosivo. Non lo dimentica Gheghe, un compagno che con lui ha condiviso parte del percorso politico: Mario era un rivoluzionario. L’oblio che ora avvolge questo percorso collettivo e i prigionieri rivoluzionari non va interpretato come assenza dello scontro di classe, oggi più che mai presente e feroce, ma come difficoltà dei comunisti a essere rivoluzionari. Le generose lotte di resistenza di lavoratori, lavoratrici, precari, insieme a diseredati provenienti dal resto del mondo, sono la linfa che nutre la speranza, ma anche la rivoluzione. Quando questa parola tornerà a essere protagonista, pervadendo il corpo e la coscienza degli sfruttati, l’oblio avrà termine e tutto verrà ripagato.
Per ricordare Mario nel cimitero fiorentino di Trespiano c’è stato per anni un cippo, ora rimosso, opera dello scultore militante Paolino Neri. Il cuneo rosso penetra con tutta la sua energia vitale il marmo bianco. Un classico dell’iconografia sovietica. Passato alla storia come opera di El Lissitzky, in realtà ripreso dal disegno su carboncino e acquarello di uno sconosciuto pittore. E potenti parole a ricordare i rivoluzionari caduti nella lotta.
I deboli non combattono / quelli più forti lottano forse per un’ora / quelli ancora più forti lottano / per molti anni / ma quelli fortissimi lottano / per tutta la vita / costoro sono indispensabili. (Bertolt Brecht, Lode al rivoluzionario).