12 marzo 1955 – 28 maggio 1976 (Sezze Romano – LT)
Il 28 maggio 1976 è in corso la campagna elettorale, ma è anche il secondo anniversario della strage di Brescia, eseguita dai fascisti di Ordine Nuovo e coperta da servizi segreti e altri apparati dello Stato. Otto morti e oltre cento feriti in piazza della Loggia, durante un comizio antifascista. Dopo quarantuno anni di indagini, processi, reticenze e depistaggi, nel 2015, grazie all’infaticabile lavoro del Comitato familiari delle vittime, arrivano due condanne all’ergastolo, per Maurizio Tramonte, militante di Ordine Nuovo e collaboratore del SID, e l’ordinovista Carlo Maria Maggi, mentre altri responsabili sono nel frattempo morti. Le condanne sono confermate in via definitiva dalla Corte di Cassazione nel 2017.
Sezze Romano, in provincia di Latina, è una roccaforte antifascista. L’annuncio di Sandro Saccucci di tenere un comizio nella “Stalingrado dei Lepini” viene quindi considerato come una provocazione. Deputato del Movimento Sociale Italiano, picchiatore, ex ufficiale dei paracadutisti, Saccucci era stato arrestato anche per il tentato golpe di Junio Valerio Borghese del 1970. Una storiaccia, piena di istituzioni nulla affatto deviate. Il solito mix di fascisti e servizi segreti.
Nel tardo pomeriggio del 28 maggio, dopo altri comizi nella zona, il corteo di macchine dei missini entra in paese ostentando saluti romani. I militanti della FGCI e di Lotta Continua si sono organizzati insieme. Parte la contestazione. Saccucci tira fuori una pistola e spara. Sono in molti a cercare di impedire la fuga dei missini in auto, guidata da Francesco Troccia, ufficiale dei Carabinieri appartenente al Sid (Servizio Informazioni Difesa). Da una macchina i fascisti sparano colpi di arma da fuoco. Antonio Spirito, studente-lavoratore, e militante di Lotta Continua, è ferito a una gamba mentre Luigi Di Rosa, ventuno anni, della FGCI, viene colpito da proiettili di diverso calibro. Muore dopo circa due ore di agonia. Luigi era studente a Latina, a giugno avrebbe dovuto prendere il diploma di geometra, mentre lavorava come stagionale nelle campagne pontine, e aiutava il padre, manovale edile. Quella sera alla fine del lavoro era andato a mangiare una pizza con gli amici e poi, dopo un breve passaggio a casa in via Roma, era uscito per contestare il comizio fascista.
Così il compagno viene ricordato in una manifestazione antifascista poco dopo la sua morte: «Luigi era giovane, ma non troppo giovane per capire e battersi per la strada giusta. Non troppo giovane per cadere dalla parte giusta, come i partigiani di trent’anni fa, che erano poco più che ragazzi, come i nuovi partigiani di questi anni: Saltarelli e Mario Lupo, Serantini, Argada, Franceschi, Zibecchi e Varalli e Micciché e Brasili e Pietro Bruno e Mario Salvi».
A un anno dall’uccisione di Luigi, l’amministrazione comunale di Sezze inaugura una scultura bronzea dell’artista Reza Olia in memoria delle vittime dell’antifascismo, nei pressi di piazza Ferro di Cavallo, dove Di Rosa è stato colpito a morte. Nel luglio di quello stesso anno, il monumento è bersagliato di un ordigno esplosivo, mentre nel 1978 la tomba di Luigi viene imbrattata con scritte di vernice.
In un lungo e tortuoso iter giudiziario, la responsabilità dell’omicidio viene scaricata su un pesce piccolo, Pietro Allatta, che è condannato in primo grado a tredici anni, e ne sconta otto. Sandro Saccucci è rieletto alla Camera dei Deputati. In un alternarsi di autorizzazioni e dinieghi all’arresto, processi, brevi arresti e depistaggi, Saccucci – espulso dal MSI – trova rifugio in Inghilterra, quindi in Francia e in Spagna. Passato per il Cile, si stabilisce a Córdoba, in Argentina, dove dal 1985 vive da uomo libero, dopo che la Cassazione ha annullato la condanna contro di lui per il tentato golpe e l’assassinio di Luigi Di Rosa.